La Corte Costituzionale ha dichiarato con Sentenza 148 del 25 luglio l'incostituzionale del comma 3 dell'art 230 bis e dell'art 230 ter relativamente alla mancata inclusione del convivente di fatto.
Vediamo i dettagli della pronuncia.
Convivente di fatto: novità dalla Corte Costituzionale
La Consulta sinteticamente si è espressa sottolineando che il convivente di fatto è un familiare ed è impresa familiare quella con cui collabora.
Questa è la sintesi della importante conclusione della Consulta in risposta ad una questione sollevata dalla Cassazione sul tema dei conviventi di fatto.
Ricordiamo che per “conviventi di fatto”, secondo la definizione prevista dall'articolo 1, comma 36, di tale legge, si intendono “due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale”.
Il caso di specie veniva sollevato da una donna convivente di fatto di una soggetto deceduto, la quale aveva presentato ricorso in Cassazione vedendosi negare dai giudici di prima cure il diritto ad ottenere la liquidazione della sua quota come partecipante all'impresa, per il periodo in cui aveva lavorato nell'azienda agricola di famiglia.
Il giudice di primo grado aveva respinto il ricorso della donna valutando che il convivente di fatto non poteva essere considerato familiare ai sensi dell'art. 230-bis, terzo comma, del Codice civile. Identicamente si era pronunciata la corte di appello.
Da qui il ricorso proposto alla Suprema Corte, presso la quale la ricorrente evidenziava anche «la mancata considerazione delle mutate sensibilità sociali in materia di convivenza more uxorio, oltre che delle aperture della giurisprudenza sia di legittimità e sia costituzionale»
La Consulta ha accolto le questioni della ricorrente rilevando che, in una società profondamente mutata, vi è stata una convergente evoluzione sia della normativa nazionale, sia della giurisprudenza costituzionale che ha riconosciuto piena dignità alla famiglia composta da conviventi di fatto.
Comunque sono immutate le differenze di disciplina rispetto alla famiglia fondata sul matrimonio.
In questo caso però si tratta di diritti fondamentali, questi devono essere riconosciuti a tutti senza distinzioni come il diritto al lavoro e alla giusta retribuzione.
Tale diritto nel contesto di un'impresa familiare, richiede uguale tutela, versando anche il convivente di fatto, come il coniuge, nella stessa situazione in cui la prestazione lavorativa deve essere protetta.
Nel rimandare alla consultazione della corposa sentenza e si evidenzia sinteticamente che la Corte Costituzionale ha praticamente dato ragione alla ricorrente e con la Sentenza n. 148/2024 in oggetto 24 la Corte Costituzionale ha dichiarato l'illegittimità del comma 3 dell'art 230 nella parte in cui non prevede:
- come familiare, oltre al coniuge, ai parenti entro il terzo grado e agli affini entro il secondo, anche il convivente di fatto;
- come impresa familiare quella cui collabora anche il convivente di fatto.
Inoltre, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art 230 ter che riconosce al convivente di fatto una tutela significativamente più ridotta.