Con l'Ordinanza n. 25744 del 26 settembre 2024 la Cassazione ha evidenziato che, in tema di accertamento delle imposte sui redditi, qualora l’inventario non indichi e valorizzi le rimanenze con raggruppamento per categorie omogenee, si ostacola l’analisi contabile del Fisco e da ciò deriva l’incompletezza e l’inattendibilità delle scritture contabili, che giustificano anche l’accertamento induttivo ex art. 39, comma 2, lett. d), del medesimo d.P.R. e il ricorso alle presunzioni supersemplici, ossia prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza.
Vediamo il caso di specie.
Assenza di inventario: legittimo l’accertamento induttivo
Con atto di accertamento l'Agenzia delle Entrate accertava nei confronti di una Srl, ai fini Ires maggiori ricavi e minori costi indebitamente dedotti con un reddito imponibile di Euro 110.335,00 in luogo del reddito dichiarato; ai fini Irap, previa rettifica del valore della produzione, una maggiore imposta; ai fini Iva, previa rettifica del volume di affari, una maggiore imposta.
L'Agenzia delle Entrate applicava le sanzioni per irregolare tenuta della contabilità nonché per la presentazione di dichiarazione infedele ai fini Ires, Irap e Iva.
La società impugnava l'atto impositivo innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale contestando gli addebiti circa la regolare tenuta della contabilità, l'emissione di fatture senza corrispettivo, l'accertamento induttivo dei ricavi e le modalità di calcolo applicate dall'Agenzia delle Entrate.
La CTP accoglieva parzialmente il ricorso dichiarando illegittimo l'accertamento relativamente alla ripresa a tassazione dei costi dichiarati indeducibili e rigettava nel resto confermando l'accertamento impugnato.
La Srl impugnava la sentenza innanzi alla CTR che respingeva l'impugnazione e condannava la società contribuente alle spese di giudizio. Avverso a tale pronuncia della CTR la Srl, ha proposto ricorso per Cassazione con due motivi.
Con il primo motivo di ricorso la Srl deduce violazione e falsa applicazione degli articoli 39 e 41-bis del D.P.R. 29-09-1973, n. 600 in relazione all'articolo 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.
In particolare, la parte ricorrente critica la sentenza impugnata perché sarebbe affetta da errore di diritto per avere il giudice di appello ritenuto sussistenti i presupposti per l'accertamento induttivo dei ricavi in ragione della totale inaffidabilità delle c.d. liste inventariali, anche se le stesse non erano obbligatorie per l'impresa e anche se gli errori e le omissioni della contabilità dovevano ritenersi scusabili e nei limiti della tollerabilità.
La Cassazione evidenzia che il motivo è inammissibile nella parte in cui sollecita la Corte a una nuova valutazione del materiale istruttorio, già condotta dalla sentenza impugnata in modo coerente ed intellegibile, ed è comunque infondato nella misura in cui non si ravvisano errori di diritto nel ragionamento svolto dal giudice di merito.
La sentenza rileva come l'accertamento abbia evidenziato una serie di fatture prive degli importi ricevuti per le prestazioni effettuate e come tale anomalia sia in grado, unitamente all'assenza di liste inventariali necessarie per gli eventuali riscontri, a far concludere per la inaffidabilità della contabilità e per la sussistenza del presupposto dell'accertamento induttivo.
La motivazione circa le evidenze probatorie è esente da vizi e trova fondamento nei principi di diritto più volte affermati dalla Cassazione nella specifica materia: si consideri, infatti, che "in tema di accertamento delle imposte sui redditi, qualora l'inventario ometta di indicare e valorizzare le rimanenze con raggruppamento per categorie omogenee, in violazione dell'art. 15 , comma 2, del D.P.R. n. 600 del 1973 , si determina un ostacolo nell'analisi contabile del fisco sicché ne discendono l'incompletezza e l'inattendibilità delle scritture contabili, che giustificano anche l'accertamento induttivo puro ex art. 39, comma 2, lett. d), del medesimo D.P.R. e il ricorso alle presunzioni cc.dd. supersemplici, ossia prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza. Pertanto, ove il contribuente non abbia assolto – già in sede di accesso, ispezione o verifica – l'onere di mettere a disposizione degli accertatori le distinte che sono servite per la compilazione dell'inventario, egli è tenuto ad esibirle, al più tardi, in sede contenziosa, onde consentire al giudice di merito, ferma la legittimità del metodo dell'accertamento, di valutarne l'attendibilità" (Cass. 17-06-2021, n. 17244)
Più recentemente e circa i presupposti per l'accertamento induttivo, la Cassazione ha richiamato il principio secondo il quale: "in tema di accertamento delle imposte sui redditi, il giudizio di complessiva o intrinseca inattendibilità delle scritture contabili, ancorché formalmente corrette, costituisce il presupposto per procedere con il metodo analitico-induttivo, che consente valutazioni sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti, ai sensi dell'art. 39 , comma 1, lett. d), del D.P.R. n. 600 del 1973, ma anche quello per procedere con l'accertamento induttivo "puro", fondato su presunzioni cd. supersemplici, prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, in presenza di una delle tassative condizioni previste dallo stesso art. 39, comma 2, il quale, inoltre, costituendo una facoltà per l'Amministrazione, può prescindere anche solo in parte dalle scritture contabili e dal bilancio e non richiede alcuna specifica motivazione per l'utilizzazione di dati indicati in contabilità o in dichiarazione o comunque provenienti dallo stesso contribuente, anche a fronte di un giudizio di complessiva inattendibilità della contabilità, nel rispetto di una ricostruzione operata sempre secondo criteri di ragionevolezza e nel rispetto del parametro costituzionale della capacità contributiva" (Cass. 13-06-2024, n. 16528).
La Cassazione ha aggiunto che il ragionamento condotto nell'atto di accertamento, e convalidato nella sentenza di merito, è conforme al principio enunciato da questa Corte, secondo il quale: "in tema di accertamento analitico induttivo ex art. 39 , comma 1, lett. d) del D.P.R. n. 600 del 1973 , le percentuali di ricarico, accertate con riferimento ad un determinato anno fiscale, costituiscono validi elementi indiziari, da utilizzare secondo i criteri di razionalità e prudenza, per ricostruire i dati corrispondenti relativi ad anni precedenti o successivi, atteso che, in base all'esperienza, non si tratta di una variabile occasionale, per cui incombe sul contribuente, anche in virtù del principio di vicinanza della prova, l'onere di dimostrare i mutamenti del mercato o della propria attività che possano giustificare in altri periodi l'applicazione di percentuali diverse" (Cass. 29.12.2016, n. 27330).
Tale principio, applicabile, anche a condotte contabili del tutto anomale ed antieconomiche come quelle ravvisate nell'accertamento in questione, vale a privare di fondatezza la doglianza e a rendere del tutto condivisibile la conclusione raggiunta dalla sentenza impugnata circa la plausibilità dell'accertamento in difetto di prove contrarie e convincenti offerte dal contribuente circa diverse e più regolari prassi contabili seguite dall'impresa negli anni immediatamente precedenti.
Con il secondo profilo di doglianza la società ricorrente critica la sentenza impugnata per aver ritenuto di "non accogliere la censura espressa in merito alla mancanza dei presupposti, ai fini applicativi, della ricostruzione dei ricavi" conducendo il ragionamento in base all'art. 39 del D.P.R. 600-1973 mentre la motivazione dell'avviso di accertamento non conteneva alcuna indicazione circa tale disposizione ma solo il riferimento all'art. 41-bis del D.P.R. 600-1973, sicché sarebbe fallace l'individuazione dei presupposti per l'accertamento induttivo.
La doglianza è infondata secondo il seguente principio: "l'accertamento parziale non costituisce un metodo di accertamento autonomo rispetto a quello previsto dagli artt. 38 e 39 del D.P.R. n. 600 del 1973 e 54 e 55 del D.P.R. n.633 del 1972, bensì una modalità procedurale che ne segue le medesime regole, sicché il relativo oggetto non è circoscritto ad alcune categorie di redditi e la prova può essere raggiunta anche in via presuntiva: ne deriva che non assume rilievo alcuno il fatto che nel relativo avviso ci si riferisca erroneamente al predetto art. 39 anziché all'art. 41-bis del D.P.R. n. 600 del 1973 (Cass. 04-04-2018, n. 8406).
Inoltre è dedotta dalla SRL l'illegittimità delle sanzioni irrogate con riferimento al principio del favor rei e al combinato disposto dell'art. 3, comma 3, D.Lgs. 18-12-1997, n. 472 e del D.Lgs. 24-09-2015, n. 158, con conseguente violazione dello jus superveniens in relazione all'art. 360 , primo comma, n. 3), cod. proc. civ.
La Cassazione ha accolto il rilievo e in applicazione del principio del trattamento sanzionatorio più favorevole al contribuente, la sopravvenuta revisione del sistema sanzionatorio tributario, è applicabile retroattivamente alla condizione, ricorrente nel caso in esame, che il processo sia ancora in corso con la conseguente non definitività della parte sanzionatoria del provvedimento impugnato.
In conclusione, il ricorso va rigettato quanto al primo motivo e accolto quanto al secondo motivo; la sentenza impugnata deve essere cassata quanto alla conferma della irrogazione delle sanzioni contenute nell'avviso, con rinvio alla Commissione tributaria regionale competente, in diversa composizione, per le necessarie valutazioni di merito ai fini della determinazione delle sanzioni in conformità alla nuova cornice edittale prevista dalla normativa sopravvenuta.