E' stata pubblicata il 25 ottobre scorso sulla Gazzetta ufficiale europea la direttiva sul salario minimo – 2022/2041, che intende garantire ai lavoratori dell’Unione condizioni dignitose. Il Parlamento l'ha approvata nella versione definitiva nella seduta del 19 ottobre 2022.
Come di consueto la direttiva europea enuncia alcuni principi e criteri per il raggiungimento di un obiettivo condiviso lasciando agli Stati membri la liberta di definire le modalità con cui realizzarli.
L'obiettivo della direttiva è far si che le normative dei paesi membri consentano «un livello di vita dignitoso» a tutti i propri lavoratori e una riduzione delle disuguaglianze .
Si introducono in particolare:
- regole piu stringenti per i 21 paesi che già prevedono il salario minimo, con maggiore trasparenza e
- alcuni criteri di determinazione degli importi,
- un sistema di controlli piu forte
- la raccomandazione al rafforzamento del sistema della contrattazione collettiva.
Il termine per l'adeguamento per i paesi membri è fissato al 15 novembre 2024.
Vediamo più in dettaglio cosa prevede la direttiva e la situazione in Italia in tema di salario minimo.
Salario minimo UE: non obbligatorio per gli Stati
Come detto una volta entrata in vigore la direttiva non sarà obbligatorio il recepimento integrale in tutte le legislazioni nazionali
Si prevede infatti semplicemente il rafforzamento del diritto nei paesi in cui è già previsto, ed un invito ai Governi a favorire una elaborazione politica condivisa sul tema .
Attualmente non hanno una legislazione sul salario minimo:
- Austria,
- Cipro,
- Danimarca,
- Finlandia,
- Svezia e
- Italia
L'italia conta comunque su un sistema di contrattazione collettiva molto diffuso e strutturato che dà garanzie alla maggioranza dei lavoratori dipendenti.
ll commissario UE al Lavoro Schmit in conferenza stampa aveva dichiarato infatti «In Italia è in corso un dibattito molto forte e ampio su come rafforzare un sistema di contrattazione collettiva nel vostro paese ed eventualmente introdurre un salario minimo. Non imporremo un salario minimo politicamente, non è questo il problema. E penso che questo strumento sia un contributo a questo dibattito».
Da parte della sinistra sono state avanzate proposte legislative in merito mentre per i partiti di centro destra non sono necessarie nuove leggi perché si puo continuare a fare affidamento sulla tutela garantita dalla contrattazione collettiva che nel nostro paese è molto piu sviluppata che altrove
Purtroppo è presente sempre di più anche il fenomeno del dumping contrattuale cioe di contratti "civetta" fatti da organizzazioni poco rappresentative che non garantiscono tutele minime (sono oltre 1000 i contratti collettivi nazionali registrati al CNEL)
La direttiva europea ricorda infatti che " Sebbene una solida contrattazione collettiva, in particolare a livello settoriale o intersettoriale, contribuisca ad
assicurare una tutela garantita dal salario minimo adeguata, negli ultimi decenni le strutture tradizionali di contrattazione collettiva si sono indebolite, a causa, tra l’altro, di spostamenti strutturali dell’economia verso settori meno sindacalizzati e a causa del calo delle adesioni ai sindacati, in particolare come conseguenza di attività antisindacali e dell’aumento delle forme di lavoro precarie e atipiche. Inoltre, la contrattazione collettiva a livello
settoriale e intersettoriale ha subito pressioni in alcuni Stati membri all’indomani della crisi finanziaria del 2008".
Cosa prevede la nuova direttiva 2022/2041
La direttiva prevede in particolare:
- l'ampliamento dell'applicabilità del salario minimo a una maggiore platea di lavoratori e
- procedure per assicurare l’adeguatezza dei salari minimi e il loro progressivo aggiornamento almeno una volta ogni due anni (o 4 per i paesi in cui si utilizzano meccanismi di indicizzazione) nei paesi in cui già esistono
- la promozione della contrattazione collettiva e la partecipazione delle parti sociali nella definizione dei salari.
Su quest'ultimo punto , all'art 4 la direttiva prevede nello specifico che:
"ogni Stato membro, qualora il tasso di copertura della contrattazione collettiva sia inferiore a una soglia dell’80 %, prevede un quadro di condizioni favorevoli alla contrattazione collettiva, per legge a seguito della consultazione delle parti sociali o mediante un accordo con queste ultime. Tale Stato membro definisce altresì un piano d’azione per promuovere la contrattazione collettiva. Lo Stato membro definisce tale piano d’azione previa consultazione delle parti sociali o mediante un accordo con queste ultime o, a seguito di una richiesta congiunta delle parti sociali, come da esseconcordato. Il piano d’azione stabilisce un calendario chiaro e misure concrete per aumentare progressivamente il tasso di copertura della contrattazione collettiva, nel pieno rispetto dell’autonomia delle parti sociali. Lo Stato membro riesamina il suo piano d’azione periodicamente, e lo aggiorna se necessario. Qualora lo Stato membro aggiorni il suo piano d’azione, ciò avviene previa consultazione delle parti sociali o mediante un accordo con queste ultime o, a seguito di una richiesta congiunta delle parti sociali, come da esse concordato. In ogni caso, tale piano d’azione è sottoposto a riesame almeno ogni cinque anni. Il piano d’azione e gli eventuali aggiornamenti sono resi pubblici e notificati alla Commissione.
Criteri per l’importo del salario minimo
In tema invece specificamente di importo del salario minimo, per i paesi in cui è previsto, l’art. 5 della direttiva prevede che tali stati istituiscano le necessarie procedure per la determinazione e l’aggiornamento dei salari minimi legali in modo da contribuire alla loro adeguatezza, al fine di
- garantire livelli di vita dignitosi ,
- ridurre la povertà lavorativa,
- promuovere la coesione sociale e la convergenza sociale verso l’alto ,
- ridurre il gap retributivo di genere.
Per conseguire tali obiettivi vanno utilizzati criteri che tengano conto almeno gli elementi seguenti:
- a) il potere d’acquisto dei salari minimi legali, tenuto conto del costo della vita;
- b) il livello generale dei salari e la loro distribuzione;
- c) il tasso di crescita dei salari;
- d) i livelli e l’andamento nazionali a lungo termine della produttività.
Si prevede inoltre che gli Stati membri possono ricorrere a un meccanismo automatico di adeguamento dell’indicizzazione dei salari minimi legali, basato su criteri appropriati e conformemente al diritto e alle prassi nazionali, a condizione che l’applicazione di tale meccanismo non comporti una diminuzione del salario minimo legale.
Come valori di riferimento indicativi per orientare la valutazione dell’adeguatezza dei salari minimi legali vengono ricordati i valori di riferimento indicativi comunemente utilizzati a livello internazionale, quali il 60 % del salario lordo mediano e il 50 % del salario lordo medio, e/o valori di riferimento indicativi utilizzati a livello nazionale.
I progetti di legge sul salario minimo in Italia e il nodo cuneo fiscale
Le proposte di legge (vedi Legge sul salario minimo il testo base in discussione) con l'adozione poi di un testo unico erano ferme al Senato al momento della crisi del Governo Draghi.
In estrema sintesi il testo del ddl Catalfo intendeva introdurre :
- un salario minimo orario di 9 euro lordi l’ora,
- il riconoscimento dei Ccnl maggiormente rappresentativi, in chiave anti-dumping;
- un meccanismo di rivalutazione legata all’indice dei prezzi al consumo, automatica in caso di contratti scaduti o disdettati e non rinnovati (simile alla vecchia “scala mobile” ).
Il provvedimento non è considerato prioritario dai partiti di centro destra, che teme il pericolo di gravare eccessivamente con nuovi costi le Piccole e Medie imprese e i lavoratori autonomi. Uno studio dell'INAPP (Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche) del 2019 ha infatti indicato nelle PMI del Mezzogiorno i soggetti piu pesantemente colpiti da un eventuale aumento dei costi per il personale.
La proposta piu condivisa era invece quella sostenuta anche da Confindustria di aumentare i salari attraverso un intervento di riduzione del cuneo fiscale ovvero un alleggerimento del prelievo fiscale e contributivo sui salari lordi che oggi si attesta all'80 per cento della retribuzione. Indirizzo che sembra oggi condiviso dal nuovo Governo Meloni.